
Sinossi:
Tommaso ha 16 anni e da 18 mesi non esce di casa, quasi non esce dalla sua stanza, è quello che gli psicologi chiamano hikikomori, letteralmente “chi si è ritirato, chi sta in disparte”. Da un giorno all’altro, ha abbandonato il basket, la scuola, le sue passioni e ormai passa il tempo a guardare video di vecchie partite NBA e a giocare ai videogame.
C’è un gioco in particolare intorno a cui organizza le sue giornate, è il suo unico appuntamento fisso. Si chiama Us, noi in inglese: il gioco forma squadre da tre giocatori e le impegna in 100 campagne in un anno, una al giorno, vince la squadra che le completa per prima restando unita.
L’avatar di Tommaso si chiama Logan e la sua testa è un teschio, insieme a lui giocano Rin che è una ragazza e assomiglia a un manga giapponese e Hud che sembra uscito da un videogame sparattutto. I tre non si conoscono, non possono parlare di sé, lo dicono le regole, ma diventano amici.
Us ogni giorno propone loro una missione “storica”, ogni giorno li mette dalla parte delle vittime o dei carnefici, dalla parte delle Farc in Colombia, dei nazisti in Germania, di Mandela in Sudafrica, ogni giorno devono capire come arrivare alla fine avendo sotto gli occhi i massacri del ’900.
Ogni giorno avranno qualcuno da salvare e qualcuno da eliminare. La Storia però può essere feroce e comportarsi da eroi non sempre è possibile, ammesso che eroe sia chi esegue gli ordini.
Us di Michele Cocchi è un romanzo per lettori giovani e non solo, in cui la storia del ’900 diventa azione e ci costringe a schierarci, una sfida in cui la missione ultima è imparare come si diventa esseri umani.
Recensione:
“Credi davvero di non essere un eroe? Io ti dimostrerò il contrario.”
“Us” è la storia di Tommaso che da 18 mesi non esce di casa.
Tommaso ha 16 anni ed è un hikikomori: un adolescente che ha scelto di confinarsi nella sua camera ad oziare o giocare ai videogiochi.
Da qualche giorno il suo unico pensiero fisso è un gioco in particolare: “Us“.
Come ogni gioco di ruolo che si rispetti, anche questo ha delle regole: vince la squadra che, fino alla fine, porta a termine 100 campagne in un anno restando unita.
Ma “Us” è un gioco particolare e ogni giorno propone ai suoi giocatori delle missioni “storiche” dove le tragedie sono sempre dietro l’angolo.
Ogni giorno, attraverso il videogioco, Tommaso e la sua squadra ripercorrono la storia di tutti i massacri del ‘900.
Sono costretti ad affrontare missioni feroci, senza la possibilità di scegliere se stare dalla parte delle vittime o dei carnefici.
“Us ci costringe a essere vittime o carnefici, militari o ribelli, violenti o pacifici. All’inizio ti sembra uno sparatutto come gli altri, sei forte perché hai un fucile ma poi capisci che avere un’arma non è decisivo, che nella vita Tommaso si può scegliere, si deve scegliere.”
Michele Cocchi, psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza, con questo suo romanzo, sceglie di parlarci di una tematica ancora molto spinosa in Italia, e lo fa in moto arguto, rispettoso e professionale.
Lo stile narrativo che adopera nel testo è pulito, senza troppe pretese.
L’autore mette a proprio agio il lettore e riesce a farlo immergere in un mondo completamente nuovo, esponendolo continuamente a numerose riflessioni.
È difficile prendere una posizione durante tutto il romanzo, ancora più complicato stabilire quale sia il punto di vista che più si avvicina alla razionalità.
E alla fine ti rendi contro che non c’è una vera e propria chiave di lettura per questo libro.
Michele mette a nudo i suoi personaggi facendoci assaporare le loro ansie, le loro preoccupazioni e perfino i loro dubbi.
Si diviene un tutt’uno con il protagonista principale e, cosa fondamentale, lo si comprende.
“Ha sentito che se avesse voluto non ci sarebbe stato più bisogno di sparare, di faticare per restare competitivi, esistevano videogiochi che poteva portare a termine senza dover dimostrare niente a nessuno, per il solo piacere di giocare, grazie ai quali scollegarsi dal mondo ed entrare in un luogo dove lui era l’unico vero protagonista.“
Credo che, a prescindere dal luogo geografico, dalla cultura e dalla religione a cui si è devoti, un hikikomori non è altro che una persona come le altre.
Ragazzi, adolescenti o quasi adulti che hanno bisogno di un aiuto in più, di vedersi tendere una mano alla quale potersi aggrappare, di poter fare affidamento su una persona in grado di infondergli coraggio e fargli ritrovare la fiducia in sé stessi.
Perché, in fondo, è quello il punto di partenza necessario per arrivare a trovare il loro posto nel mondo e poter mirare, finalmente, ad un successo personale.
Gli Hikikomori all’interno della società giapponese e il loro rifugio nei mondi paralleli:
Ma chi sono davvero gli Hikikomori?
Perché vengono definiti così?
Hikikomori vuol dire letteralmente “stare in disparte“.
È un termine giapponese usato per descrivere persone che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, di manifestare volontariamente la propria riluttanza verso la società.
Spesso queste persone sono adolescenti che non vanno a scuola, non lavorano, e restano confinati nella propria camera, rifiutando qualsiasi contatto umano.
Trovano un modo per lavorare da casa e restano in contatto con il mondo esterno grazie al web, alla televisione e ai giochi.
Un hikikomori è una persona lucida che non soffre di malattie mentali, ma è spinta a tanto dalla mancanza di prospettive.
In molti casi sono le circostanze a favorire la nascita di questi atteggiamenti: la cultura giapponese gioca sicuramente un ruolo fondamentale in tutto ciò, a causa delle regole rigide che impone alla società, a partire dalla più tenera età.
Le pressioni scolastiche, il peso delle aspettative da parte della famiglia, e la costante competitività sociale diventano troppo opprimenti.
In Giappone, anche un esame durato solo qualche ora può rovinare un’intera esistenza. È un sistema rigido che aspira sempre al meglio e non ammette errori, altrimenti vieni considerato un fallimento.
Se mai non dovessi riuscirci è colpa tua, sei irremissibile.
“Quello che dice però ha un senso, forse anche lui si sente schiacciato, la società lo schiaccia, lo vuole uguale a tutti gli altri. Ma a lui non dispiace sentirsi uguale agli altri, dispiace invece il fatto di non sentirsi come loro, di non poter competere, di non poter conquistare quelle quattro minchiate, come le ha definite Hud.“
Spesso, per sfuggire a tali pressioni e responsabilità, gli hikikomori si rifugiano in serie tv, anime, libri o giochi attraverso i quali instaurano delle vere e proprie amicizie virtuali.
Tra questi ultimi, sono molto diffusi i giochi di ruolo, in singolo o in modalità multiplayer, che offrono diversi livelli di giocabilità e longevità.
Attraverso questi giochi, entrano in un vero e proprio universo parallelo, caratterizzato, la maggior parte delle volte, da ambientazioni fantasy o futuristiche, scenari di guerra o ambienti dedicati ai classici del cinema e della letteratura come “Star Wars” e “Il signore degli anelli“.
In questa dimensione si sentono al sicuro: possono essere chi desiderano, agire come gli pare e non doversi caricare sulle spalle il peso di esporsi fisicamente.
Inoltre, la figura dello Hikikomori è molto utilizzata sia negli anime che nei manga.
In questi contesti essi assumono di frequente il ruolo dell’ “eroe“, grazie al quale riescono a sviluppare una crescente accettazione di sé stessi.
Il fenomeno Hikikomori va sempre più crescendo in vari paesi, compreso l’Italia.
Di loro se ne può parlare in lungo e in largo e, di seguito, vi lascio qualche consiglio su alcuni anime – o manga – e videogiochi che vanno ad esplorare e approfondire questa figura complessa.
La mia top 5 degli anime (o manga):
- Welcome to the NHK. Una delle opere di nicchia più significative in quanto spinge a guardarsi dentro e confrontare la nostra vita con quello che non è un estremo, ma la” normalità” di un hikikomori comune;
- Ano Hana. Una storia in cui il protagonista, Jinta, a causa di un trauma subito durante la sua infanzia, diviene a tutti gli effetti un hikikomori;
- Neon Genesis Evangelion. Attraverso il protagonista principale, illustra la classica società giapponese, sofferente a causa del duro sistema educativo e di un incessante pressione sociale;
- Re: zero. Anime che ha come protagonista un hikikomori, Natsuki Subaru, evocato in un mondo parallelo nel quale scopre di poter tornare in vita ogni volta che muore grazie ad un checkpoint;
- No game No life. Una storia dove i protagonisti sono due fratelli, Sora e Shiro. Un team invincibile nel mondo nei giochi e due hikikomori nella vita reale. Anch’essi vengono evocati in un’altra dimensione all’interno della quale ricoprono un ruolo fondamentale.
La mia top 5 dei videogiochi:
- The legend of Zelda. Gioco di nicchia che è un mix tra strategia, azione e risoluzione di puzzle;
- Persona 5. Simulatore di vita a tutti gli effetti dove il protagonista principale è esso stesso un hikikomori. Di questa serie esiste anche una versione anime e manga, ancora in corso;
- Fortnite. Uno sparatutto in terza persona che ha ottenuto un notevole successo negli ultimi anni;
- World of Warcraft. Un videogioco d’azione multiplayer, in vetta dal 2004;
- Red Dead Redemption. Un gioco d’avventura dinamica in open world e con una visuale in terza persona.
Declaimer: tutto ciò che trovate scritto in questo articolo non lo troverete nei testi di scuola, nei manuali o nei saggi. Tutto ciò è frutto di studi personali e di una grande passione per la cultura nipponica.
Inoltre, ringrazio di cuore la casa editrice Fandango Libri per avermi coinvolta nell’iniziativa e per avermi omaggiato la copia.
La mia valutazione:
Piccole informazioni sul libro e sull’autore:
Autore: Michele Cocchi
Pagine: 320
Anno: 2020
ISBN: 9788860446626
Editore: Fandango Libri
Collana: Weird Young
Formato: Brossura
Prezzo di copertina: 17 euro
Michele Cocchi:

Michele Cocchi (Pistoia, 1979) lavora come psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza. I suoi racconti sono apparsi su riviste e su antologie. Nel 2010 ha pubblicato la raccolta Tutto sarebbe tornato a posto (Elliot), finalista come libro dell’anno di Fahrenheit. Il suo primo romanzo è La cosa giusta (Effigi, 2016). Con La casa dei bambini (Fandango, 2017) ha vinto la XXXVII Edizione del Premio Comisso.